Le
riflessioni di David Bidussa
“Il capo dei coppieri, invece di ricordarsi di
Giuseppe, lo dimenticò”. E’ il verso con cui si chiude la parasha di Vayeshev
che abbiamo letto ieri. Poi si ricorda (saranno i primi versi della parashà di
Mikkets che leggeremo il prossimo shabbat). Si ricorda perché si ripete la
stessa situazione: qualcuno sogna, si domanda il significato del sogno, nessuno
riesce a dare una spiegazione, qualcuno la darà.
E’ evidente che se qualcuno si dimentica, non si ricorda.
Ma perché ripetere due volte lo stesso concetto? Perché dimenticare (l’oblio) e non ricordare non sono identiche. Così come differiscono “avere memoria” (che è l’opposto di dimenticare) e ricordare. Ricordare o non ricordare è un’operazione meccanica, spesso casuale. Dimenticare e avere memoria sono due atti intenzionali. Dimenticare e avere memoria sono un risultato e testimoniano di una volontà: si dimentica ciò che si è deciso di dimenticare e si ha memoria di ciò che si vuole ricordare. Memoria e oblio non sono fatti. Sono atti: volontari, coscienti e consapevoli. Avere memoria o dimenticare è un atto che avviene attraverso due percorsi. Primo percorso: si tiene a mente (oppure al contrario si cancella) un intero avvenimento. Si riconosce qualcosa solo se si ripete la stessa cosa in tutte le sue parti (è ciò che accade al capo dei coppieri). Secondo percorso: si tiene a mente (o si dimentica) il contesto, la condizione in cui una certa cosa è avvenuta o è stata detta. Ciò che tratteniamo è uno strumento per pensare, comparare, e comprendere le somiglianze e le differenze nei fatti della storia. Che non si ripetono mai uguali a se stessi, ma hanno similitudini e differenze con ciò che è accaduto prima. Dopo i fatti della settimana scorsa di Torino e di Firenze avere memoria non è più un esercizio solo per tenersi in allenamento, ma è una condizione per saper leggere in maniera acuta e perspicua le peripezie possibili della realtà. Capire che cosa e come si ripeterà qualcosa, ma soprattutto comprendere che ciò che è stato nel passato ha avuto molti linguaggi, ha assunto forme e modalità diverse in paesi diversi. Scegliere il contesto giusto per comprendere cosa sta accadendo diviene molto importante. Per questo avremo sempre più bisogno di seguire il secondo percorso per riconoscere ciò che potrebbe verificarsi. Se avere memoria, si limiterà solo a ricordarsi avvenimenti anziché riconoscere contesti, il risultato sarà o non cogliere le similitudini, o fare delle false analogie.
E’ evidente che se qualcuno si dimentica, non si ricorda.
Ma perché ripetere due volte lo stesso concetto? Perché dimenticare (l’oblio) e non ricordare non sono identiche. Così come differiscono “avere memoria” (che è l’opposto di dimenticare) e ricordare. Ricordare o non ricordare è un’operazione meccanica, spesso casuale. Dimenticare e avere memoria sono due atti intenzionali. Dimenticare e avere memoria sono un risultato e testimoniano di una volontà: si dimentica ciò che si è deciso di dimenticare e si ha memoria di ciò che si vuole ricordare. Memoria e oblio non sono fatti. Sono atti: volontari, coscienti e consapevoli. Avere memoria o dimenticare è un atto che avviene attraverso due percorsi. Primo percorso: si tiene a mente (oppure al contrario si cancella) un intero avvenimento. Si riconosce qualcosa solo se si ripete la stessa cosa in tutte le sue parti (è ciò che accade al capo dei coppieri). Secondo percorso: si tiene a mente (o si dimentica) il contesto, la condizione in cui una certa cosa è avvenuta o è stata detta. Ciò che tratteniamo è uno strumento per pensare, comparare, e comprendere le somiglianze e le differenze nei fatti della storia. Che non si ripetono mai uguali a se stessi, ma hanno similitudini e differenze con ciò che è accaduto prima. Dopo i fatti della settimana scorsa di Torino e di Firenze avere memoria non è più un esercizio solo per tenersi in allenamento, ma è una condizione per saper leggere in maniera acuta e perspicua le peripezie possibili della realtà. Capire che cosa e come si ripeterà qualcosa, ma soprattutto comprendere che ciò che è stato nel passato ha avuto molti linguaggi, ha assunto forme e modalità diverse in paesi diversi. Scegliere il contesto giusto per comprendere cosa sta accadendo diviene molto importante. Per questo avremo sempre più bisogno di seguire il secondo percorso per riconoscere ciò che potrebbe verificarsi. Se avere memoria, si limiterà solo a ricordarsi avvenimenti anziché riconoscere contesti, il risultato sarà o non cogliere le similitudini, o fare delle false analogie.
Le riflessioni di Anna Foa
Torino
e Firenze, ma anche il massacro di Utoya e il dilatarsi sul web e sui
media di una propaganda razzista e antisemita che sembra aver superato un
confine, essere divenuta ovvia e accettata. In questo contesto, quel che scriveva
ieri Bidussa mi sembra fondamentale: "avere memoria è una condizione per
saper leggere le peripezie possibili della realtà". Il contesto in
cui ci troviamo oggi a ricordare (o anche a dimenticare) ci obbliga a
rispondere alla domanda che ci assilla da molto tempo: ricordare a che scopo?
Se dedicassimo d'ora in avanti le nostre riflessioni sul passato non a vane
celebrazioni, ma a costruire un piccolo tassello di un pensiero che renda
impossibili cose come queste, sarebbe sufficiente. Se destinassimo solo una
piccola parte del nostro tempo ad insegnare ai più giovani che le razze non
esistono e che gli esseri umani sono uguali, avremmo già fatto un buon uso
della nostra memoria.
(L’Unione
informa, dicembre 2011)
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