mercoledì 4 gennaio 2012

Cattaneo e Mazzini, una lezione per l’Europa


di Mario Avagliano

L’Europa della Nazioni e la religione dei doveri di Giuseppe Mazzini e il federalismo temperato di Carlo Cattaneo. 
Sono le idee forti da cui dovrebbe ripartire la fragile Italia del ventunesimo secolo, in crisi d’identità culturale oltre che di finanze, in bilico tra una Seconda Repubblica che non è mai decollata e una Terza Repubblica finora solo annunciata, stato membro di un’Europa dotata di moneta unica ma senza nerbo né unità politica. 
È il senso del saggio Idee per gli italiani del Duemila, a cura di Cosimo Ceccuti e Luigi Tivelli (Rubbettino, pp. 165, euro 14), che raccoglie le pagine più attuali di due dei maggiori protagonisti del Risorgimento, che hanno gettato semi e generato germogli periodicamente destinati ad essere raccolti nella scena europea ed italiana.

“I popoli che si fanno piccoli nei pensieri, si fanno deboli nelle opere”, scriveva il riformista Carlo Cattaneo. Prima dei moti del 1848 il grande intellettuale milanese, di formazione illuminista, aveva una visione politica “lombardocentrica”, quasi leghista si direbbe oggi. Ma dopo la partecipazione in prima persona alle Cinque Giornate di Milano, sposò definitivamente la causa del patriottismo italiano. Cattaneo era fautore di un federalismo empirico e concreto, basato sul principio di sussidiarietà, che in Italia fu declinato per la prima volta proprio da lui. Un federalismo strettamente collegato alla libertà, che guardava poco alle fumisterie ideologiche e teneva in gran considerazione le specificità territoriali e le esigenze della buona amministrazione, senza mettere in discussione l’unità della Nazione. Un federalismo in cui il primo luogo di affermazione e di pratica sono i Comuni, “plessei nervei della vita vicinale”. A lui si ispirarono i costituenti nel disegnare il sistema italiano delle autonomie locali.
Parlano all’Italia di oggi anche le pagine del rivoluzionario Mazzini, che a differenza di Cattaneo affondava le sue radici culturali nel romanticismo. Nei Doveri dell’uomo, una sorta di vademecum del buon cittadino, come lo definisce Ceccuti,  l’intellettuale genovese si sofferma su temi quali l’educazione e l’istruzione, la famiglia, il rapporto tra associazione e progresso, la questione economica e la questione sociale. In tempi in cui molti si abbarbicano solo ai diritti (o pretesi tali), rileggere Mazzini aiuta a cogliere il senso di quella “religione dei doveri” di cui il nostro Paese ha più che mai bisogno. Così come è assolutamente moderna la sua idea di Europa delle nazioni e dei popoli e del ruolo dell’Italia in Europa: “Noi non possiamo vivere se non di vita europea, non emanciparci se non emancipando. Le sorti dell’Italia sono quelle del mondo”.
Nel Novecento la semina del pensiero di Mazzini e di Cattaneo ha alimentato vari filoni politici e culturali, dal partito repubblicano al movimento antifascista di Giustizia e Libertà, fino al partito d’azione e al cenacolo del Mondo di Pannunzio. In pratica – come osserva Tivelli – “tutti quei filoni che più marcatamente si sono richiamati e si richiamano a quelle che la migliore storiografia ha definito le tre R, Risorgimento, Resistenza e Repubblica”. Anche l’Assemblea Costituente del ’46 e la successiva storia repubblicana hanno attinto a più riprese agli scritti dei due pensatori. Vale allora la pena rileggerli. Magari per trovare l’ispirazione per far uscire dal guado l’Italia acciaccata dei giorni nostri.

(Il Messaggero, 4 gennaio 2012)

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