di Mario Avagliano
L’Europa della Nazioni e la
religione dei doveri di Giuseppe Mazzini e il federalismo temperato di Carlo
Cattaneo.
Sono le idee forti da cui dovrebbe ripartire la fragile Italia del
ventunesimo secolo, in crisi d’identità culturale oltre che di finanze, in
bilico tra una Seconda Repubblica che non è mai decollata e una Terza
Repubblica finora solo annunciata, stato membro di un’Europa dotata di moneta
unica ma senza nerbo né unità politica.
È il senso del saggio Idee per gli italiani del Duemila, a
cura di Cosimo Ceccuti e Luigi Tivelli (Rubbettino, pp. 165, euro 14), che
raccoglie le pagine più attuali di due dei maggiori protagonisti del
Risorgimento, che hanno gettato semi e generato germogli periodicamente
destinati ad essere raccolti nella scena europea ed italiana.
“I popoli che si fanno piccoli
nei pensieri, si fanno deboli nelle opere”, scriveva il riformista Carlo
Cattaneo. Prima dei moti del 1848 il grande intellettuale milanese, di formazione
illuminista, aveva una visione politica “lombardocentrica”, quasi leghista si
direbbe oggi. Ma dopo la partecipazione in prima persona alle Cinque Giornate
di Milano, sposò definitivamente la causa del patriottismo italiano. Cattaneo
era fautore di un federalismo empirico e concreto, basato sul principio di
sussidiarietà, che in Italia fu declinato per la prima volta proprio da lui. Un
federalismo strettamente collegato alla libertà, che guardava poco alle
fumisterie ideologiche e teneva in gran considerazione le specificità
territoriali e le esigenze della buona amministrazione, senza mettere in
discussione l’unità della Nazione. Un federalismo in cui il primo luogo di
affermazione e di pratica sono i Comuni, “plessei nervei della vita vicinale”.
A lui si ispirarono i costituenti nel disegnare il sistema italiano delle
autonomie locali.
Parlano all’Italia di oggi anche
le pagine del rivoluzionario Mazzini, che a differenza di Cattaneo affondava le
sue radici culturali nel romanticismo. Nei Doveri
dell’uomo, una sorta di vademecum
del buon cittadino, come lo definisce
Ceccuti,
l’intellettuale genovese si sofferma su temi quali l’educazione e l’istruzione,
la famiglia, il rapporto tra associazione e progresso, la questione economica e
la questione sociale. In tempi in cui molti si abbarbicano solo ai diritti (o
pretesi tali), rileggere Mazzini aiuta a cogliere il senso di quella “religione
dei doveri” di cui il nostro Paese ha più che mai bisogno. Così come è
assolutamente moderna la sua idea di Europa delle nazioni e dei popoli e del
ruolo dell’Italia in Europa: “Noi non possiamo vivere se non di vita europea,
non emanciparci se non emancipando. Le sorti dell’Italia sono quelle del
mondo”.
Nel Novecento la semina del
pensiero di Mazzini e di Cattaneo ha alimentato vari filoni politici e
culturali, dal partito repubblicano al movimento antifascista di Giustizia e
Libertà, fino al partito d’azione e al cenacolo del Mondo di Pannunzio. In
pratica – come osserva Tivelli – “tutti quei filoni che più marcatamente si
sono richiamati e si richiamano a quelle che la migliore storiografia ha
definito le tre R, Risorgimento, Resistenza e Repubblica”. Anche l’Assemblea
Costituente del ’46 e la successiva storia repubblicana hanno attinto a più
riprese agli scritti dei due pensatori. Vale allora la pena rileggerli. Magari per
trovare l’ispirazione per far uscire dal guado l’Italia acciaccata dei giorni
nostri.
(Il Messaggero, 4 gennaio 2012)
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