di Mario Avagliano
La maggior parte degli italiani si disamorò del fascismo e
di Mussolini solo negli anni della guerra, tra il 1940 e il 1943. Per gli
ebrei, invece, anche quelli convintamente fascisti, il momento del distacco
avvenne un po' prima, già nel 1938,
a seguito delle leggi razziali, che svelarono ai loro
occhi la vera natura del regime, anche se non ne scalfirono il forte
attaccamento alla patria, che aveva solide radici nella partecipazione alle
lotte del Risorgimento.
L’allontanamento anticipato dal fascismo e le persecuzioni
subite fecero sì che, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943 e
dell'occupazione di oltre mezza Italia da parte dei tedeschi, gli ebrei furono
tra i primi ad arruolarsi nelle file partigiane, salendo in montagna o aderendo
ai gap e alle bande cittadine. Già il 9 settembre 1943 il torinese Emanuele
Artom annotava nel suo diario, ristampato di recente (Bollati Boringhieri, a cura di Guri
Schwartz): «La radio tedesca annunzia che verranno a vendicare
Mussolini. Così bisogna arruolarsi nelle forze dei partiti e io mi sono già
iscritto». Tra i combattenti romani a Porta San Paolo e nelle altre zone della
città poste sotto assedio dai tedeschi il 9 e 10 settembre, vi era anche un
gruppo di ebrei del Ghetto, guidato da Elena di Porto. A Napoli, durante le
Quattro Giornate che portarono alla liberazione della città, fra i rivoltosi vi
erano diversi ebrei, come Bettino Voghera, Osvaldo Tesoro, Ferruccio Ara e Mosè
De Fez (come risulta dal fondo Moscati presso l’Insmli). Tra l’altro la
ribellione della popolazione napoletana evitò la retata della comunità ebraica
cittadina, già progettata dai tedeschi.
Leggi l’articolo su Patria Indipendente, n. 10, dicembre 2011
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