“Per
troppo tempo le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la
tragedia delle foibe e dell'esodo hanno costituito una pagina strappata nel
libro della nostra storia". Lo ha detto ieri il presidente della Repubblica,
Sergio Mattarella, al termine delle celebrazioni a Montecitorio per il Giorno
del Ricordo. Una commemorazione che quest’anno ha viste unite tutte le forze
politiche, in un clima più sereno del passato e qualche polemica solo a livello
locale, a Napoli e a Milano, dove alcuni esponenti del centrodestra hanno
accusato i sindaci De Magistris e Pisapia di aver dimenticato la ricorrenza.
Gli
antefatti delle foibe risalgono al primo dopoguerra. Nel 1920 il trattato di
Rapallo assegna all’Italia Trieste, Gorizia, l’Istria e Zara e dichiara Fiume
“città libera”. Quello stesso anno Benito Mussolini, in visita a Pola, chiarisce:
“Di fronte a una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire
la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone”. Le bande fasciste la
mettono subito in pratica, dando alle fiamme nell’intera Venezia Giulia 134
edifici di sloveni e croati.
Dopo
la “marcia su Roma” e la nomina a capo del governo, Mussolini persegue una strategia
di “bonifica nazionale” nei confronti della popolazione slava, definita
sprezzantemente come “allogena”. E così, tra il 1923 e il 1927 vengono rimossi
gli impiegati e gli insegnanti slavi dagli uffici pubblici e dalle scuole,
viene proibito l’uso dello sloveno e del croato, vengono soppresse le loro organizzazioni
culturali, ricreative e culturali e viene imposta l’italianizzazione dei
cognomi e delle località.
Un
nuovo capitolo si apre con la seconda guerra mondiale e l’invasione da parte italo-tedesca della Jugoslavia
nell’aprile 1941. Altro che “italiani brava gente”, anche le nostre truppe di
occupazione si macchiano di eccidi, fucilazioni, incendi di villaggi, deportazioni.
“Non occhio per occhio e dente per dente! Piuttosto una testa per ogni dente”,
come ordina il generale Mario Roatta. E migliaia di civili slavi muoiono di
stenti nei campi di internamento italiani. Uno dei peggiori è sull'isola
dalmata di Arbe, ma il regime fascista istituisce decine di campi anche in
Italia, da Gonars (Udine) ad Alatri (Frosinone).
Dopo
l’armistizio dell’8 settembre, sloveni e croati insorgono in favore dei
partigiani jugoslavi di Tito, dando sfogo al desiderio di vendetta contro i fascisti
italiani. È in questo periodo che si registra la prima ondata di violenze
in Istria e in Dalmazia, con l’uccisione di alcune centinaia di fascisti nelle foibe, caverne a forma di imbuto
rovesciato, che possono raggiungere la profondità di 200 metri.
A
inizio ottobre del ’43 i nazisti e i fascisti rioccupano l'Istria e la mettono
a ferro e fuoco, arrestando migliaia di partigiani, di ebrei e di oppositori
slavi, molti dei quali vengono rinchiusi ed uccisi nella Risiera di San Sabba a
Trieste, l’unico campo di sterminio italiano, e altri deportati in Germania.
Il
1° maggio del 1945 la IV armata di Tito entra a Trieste e a Gorizia. In un
clima di resa dei conti, a cadere dentro le foibe e ad andare nei campi di
concentramento (famoso quello di Borovnica) sono migliaia di persone, comprese
donne e bambini. Non solo fascisti, ma anche cattolici, liberaldemocratici,
socialisti, parroci, per la sola “colpa” di essere italiani o di opporsi a Tito.
La
tragedia degli istriani e dei dalmati non finisce qui. Il 10 febbraio del 1947 l’Italia
ratifica il trattato di pace: l’Istria, Fiume e Zara passano sotto la Jugoslavia.
Trecentocinquantamila italiani sono perseguitati e costretti all’esilio
forzato, perdendo quasi tutti i loro averi: case, patrimoni, attività. E quando
giungono in Italia, spesso vengono accolti
come fascisti. Sul loro dramma, come denuncerà l’ex capo dello Stato Giorgio
Napolitano nel 2007, cala un vergognoso silenzio, sull’altare della guerra
fredda e delle pregiudiziali ideologiche. Fino a quando il Parlamento nel marzo
del 2004 approva la legge 92, che istituisce il 'Giorno del ricordo'.
(versione più sintetica su Il Messaggero, 11 febbraio 2015)
Nessun commento:
Posta un commento